Ten Italian Architects

mostra
Ten Italian Architects

Archives of American Art, Smithsonian Institution.

1967

LACMA, Los Angeles, Ca, Usa

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McCoy si dedica a una serie di curatele espositive corredate da altrettante pubblicazioni che conducono, nel 1964, al progetto di mostra Ten Italian Architects, inizialmente pensato come itinerante, poi ospitato esclusivamente presso il LACMA (Los Angeles County Museum of Art) nel 1967 e accompagnato dal piccolo, ma prezioso, catalogo a cura della stessa autrice. La progettazione grafica del volume era stata affidata a John e Marilyn Neuhart, autori anche dell’allestimento della mostra impostata tra gigantografie sospese e a muro e una costellazione di “isole” espositive con plastici e disegni. 
L’occasione, seppur di portata contenuta, può certamente considerarsi un traghettamento sofisticato della migliore produzione e ricerca architettonica italiana di quell’ultimo decennio in USA, risultato di un percorso di approfondimento e di analisi indipendente condotto dalla McCoy con approfondimenti bibliografici, certamente, ma anche con il contributo sostanziale di relazioni e scambi diretti con i maggiori critici e direttori di rivista italiani, superando le posizioni antitetiche di personaggi come Gio Ponti con il quale, al tempo, era già in amicizia (e di tutta la redazione di Domus, comprese le figlie dell’architetto Lisa e Letizia), e Bruno Zevi, l’intellettuale ebreo fondatore dell’Apao, mai veramente intimo, con il quale però condivideva molte delle visioni sui maestri dell’architettura europeo/californiana. Tra loro, e con loro, naturalmente, anche Ernesto Nathan Rogers, già noto alla critica americana per il suo coinvolgimento nel Comitato Scientifico  dei CIAM, per il suo ruolo di direttore di Casabella, forse la più internazionale delle riviste italiane di architettura, nonché membro dei BBPR lo studio dalla forte vocazione internazionale, presente anche nella mostra di Los Angeles, la cui relazione con gli Usa era già fortemente biunivoca a partire dall’incarico da parte del MoMA per il padiglione statunitense alla IX Triennale di Milano del 1951 a cui seguì, nell’edizione successiva, la X Triennale del 1954, un altro lavoro che coinvolse artisti del panorama internazionale come Saul Steinberg e Alexander Calder, entrambi naturalizzati americani, il Labirinto dei ragazzi, quasi un intervento di land art, poetico e ludico, nel parco Sempione. Coevo a quell’intervento, non a caso, fu l’iconico showroom Olivetti sulla Fifth Avenue a New York, in collaborazione con l’artista italiano Costantino Nivola. Un progetto che vide il gruppo milanese attestarsi tra i maggiori protagonisti di una nuova stagione allestitiva da cui prenderà avvio anche il sofisticato sistema espositivo del Museo del Castello Sforzesco di Milano. Dunque, una serie di rapporti di alto livello condotti in forma epistolare, certamente, da come si evince dalla consistente corrispondenza custodita presso l’archivio dell’autrice, ma spesso attuati anche con incontri diretti, in occasione delle trasferte italiane della stessa McCoy e viceversa. Accadeva in quegli anni che personaggi come Ponti, Nervi o gli stessi BBPR tenessero lectures negli Stati Uniti o visitassero il Paese per questioni professionali. A queste relazioni si aggiungeva un notevole supporto critico-informativo, derivato dalla presenza di “fuoriusciti” di grande valore come l’ingegnere Edgardo Contini o il più anziano architetto Pietro Belluschi, professionisti di fama che pur avendo scelto di restare negli Stati Uniti mai avevano perso contatti relazionali, anche culturali, con il loro paese d’origine. 
Inoltre, McCoy in non rare occasioni rappresentò un punto di riferimento per una serie di giovani professionisti, tra i primi Mario Brunati, citato anche nei ringraziamenti in apertura al catalogo della mostra al LACMA per il suo contributo circa le giovani generazioni, cui seguirono Vittorio Gregotti, allievo di E.N. Rogers e suo assistente con il quale ella entrò in relazione amicale, così come un giovanissimo Renzo Piano in cerca di stage, qualche anno più tardi. Giovani progettisti che per brevi periodi transitarono tra una costa e l’altra degli States nei loro viaggi di formazione tra le più importanti università e i maggiori studi di architettura. Costoro divennero tutti importanti “intermediari” e consulenti per contribuire a completare il puzzle intessuto dalla McCoy per comprendere al meglio lo stato dell’architettura in Italia.
A questi progettisti e teorici basati negli Stati Uniti o di passaggio, si affiancavano, poi, personaggi, intellettuali, urbanisti, critici, come Silvano Tintori, George Everard Kidder Smith, Piero Bottoni e Agnoldomenico Pica e altri divulgatori di architettura, i quali, dall’Italia, con le loro pubblicazioni contribuirono sostanzialmente alla comprensione del concetto di “continuità” insito nell’architettura e nella teoria del Belpaese. Infine, il rapporto non completamente lineare ma prolifico con Carla de Benedetti, la fotografa consigliata alla McCoy da Nathan Schapira, altro importante “informatore” sullo stato dell’arte in Italia, per accompagnare la sua lettura della recente produzione Moderna nelle maggiori città italiane, completò una visione già in parte “costruita” dalla nota autrice ben prima del suo arrivo a Milano, Roma e il Veneto. 
Quanto al piccolo e prezioso libro/catalogo che accompagna la mostra, e viceversa, la struttura della narrazione è organizzata con un breve saggio introduttivo, in cui si dichiara la condivisione dell’assunto di una “continuità” nell’architettura italiana (negandone così la crisi), e le immagini in successione dei disegni di Sant’Elia, della casa del fascio di Terragni e dell’espressiva trama strutturale dell’Hangar di Orbetello di Nervi. Si aprono poi le pagine di schede critiche dedicate ai lavori di alcuni degli architetti più interessanti e affermati della penisola, da Ignazio Gardella - inaspettata la presenza in apertura, con il suo Centro Ricreativo Olivetti ad Ivrea seguito dalla visione della stazione degli aeroplani di Sant’Elia - a Franco Albini e Franca Helg, dai BPR a Giovanni Michelucci fino a Carlo Scarpa. Personaggi questi da tempo contemplati quali voci significative di un parterre composto da un professionismo colto impegnato tra progettazione, insegnamento e ricerca, distinti, in questa ricostruzione critica, da una serie di battitori liberi di ultima generazione, anch’essi di indiscusso valore, come Giancarlo de Carlo, Gino Valle, Alberto Rosselli, Angelo Mangiarotti e Vittoriano Viganò. E scegliendo poi di chiudere con un paio di affondi tra tematiche sperimentali e giovani promesse. In ogni caso per ciascuno di questi protagonisti nel catalogo (ma anche nella istallazione della mostra) era prevista una selezione di opere e immagini mai scontate, raramente riferite ai progetti più noti e pubblicati dei vari autori quanto, piuttosto, ad alcune opere più di ricerca e talvolta persino assurte al centro di dibattiti o in grado di innescare polemiche. Non manca, in tal senso, la casa di Gardella alla Giudecca o il quasi inedito Ospedale pediatrico ad Alessandria; la scenografica immagine dell’ellittico scalone della Rinascente di Albini-Helg; il rugoso fronte a fisarmonica dell’edificio Olivetti di Barcellona dei BBPR; il negozio Gavina a Bolgna di Carlo Scarpa; il brutalismo strutturale dell’istituto Marchiondi di Viganò e dei dormitori studenteschi a Urbino di De Carlo nonché la forza espressiva dello stabilimento a Mestre di Mangiarotti. A sigillare il racconto sulla modernità italiana, poi, con un affondo dall’evidente connotazione e ispirazione “zeviana”, uno sguardo al futuro con due proposte urbane visionarie, e al passo con i tempi: la Megalopolis (1965-66) un modello a scala territoriale del fiorentino Leonardo Ricci, molto vicino alla cultura statunitense grazie ad una lunga esperienza di insegnamento in USA e la Continuous City di Mario Galvagni. A chiudere il volume, infine, l’omaggio all’imprenditore, mecenate e politico Adriano Olivetti committente illuminato di alcuni dei progettisti presenti in mostra e della Colonia di Brusson ad opera di Leonardo Fiori (con Claudio Conte), una delle più giovani voci presenti in mostra a cui l’onere di chiudere il catalogo assieme all’immagine del modello della Megapolis di Ricci. La mostra ebbe non poca visibilità, grazie anche all’apparato fotografico di alto livello e alla serie di incontri previsti quale public program di accompagnamento all’iniziativa, anticipati dalla conferenza introduttiva tenuta dalla stessa McCoy presso il noto museo di Los Angeles. 
 

Vettori collegati

Esther McCoy

autore

Giancarlo De Carlo

architetto

Costantino Nivola

scultore

Edgardo Contini

ingegnere

Domus

rivista

Leonardo Ricci

architetto

Ernesto N. Rogers

architetto

Saul Steinberg

disegnatore e illustratore

Gio Ponti

architetto

BBPR

Angelo Mangiarotti

architetto

Franco Albini

architetto

Pietro Belluschi

architetto

George Everard Kidder Smith

Bruno Zevi

Vittoriano Viganò

architetto

Fonti

McCoy, E. 1967. Ten Italian architects, Los Angeles: Los Angeles County Museum of Art.

Scheda redatta da: Maria Vittoria Capitanucci