Esther McCoy

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Esther McCoy

Esther McCoy Tobey, Helen Dreiser, Berkeley Tobey, foto di Jim Forest, bit.ly/3B0SGMB0

1904 /1989

Horatio, AK, Usa

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L’occasione di rileggere le relazioni e i termini di confronto tra i protagonisti di quell’“esportazione” della cultura architettonica italiana, tra Dopoguerra e anni Settanta, intercettando, tra questi, la figura della statunitense Esther McCoy è senz’altro un ulteriore elemento di riflessione sul rapporto, assolutamente biunivoco, che riguarda il transito di saperi, suggestioni, confronti e riferimenti che caratterizzano il clima del Moderno in Europa e nel mondo. Un flusso che, muovendosi nella doppia direzione di andata e ritorno, ha determinato numerose ramificazioni geografico-culturali, fino ad aprire, agli esordi degli anni Settanta, persino le porte alla post-modernità. 
In tal senso il clima culturale e architettonico dell’Italia post-bellica non poteva sfuggire all’interesse della giornalista e critica dell’architettura, nata in Arkansas nel 1904, formatasi alla Michigan University per poi passare da disegnatrice per Rudolf Schindler alla scrittura politica, drammaturgica e d’architettura. Donna del proprio tempo, con uno sguardo sempre avanti e una attenzione al passato più recente e alla tradizione popolare, trasse quest’approccio radicale e disinvolto dalla frequentazione di quell’intelligentia ed énclave che, a partire dagli anni Venti si era stabilita nella costa sud-ovest statunitense. Fotografi, scrittori e sceneggiatori, artisti e architetti giunti da ogni stato d’America ma anche dall’Europa come nel caso degli austriaci Rudolf Michael Schindler, Richard Neutra, Julius Schulman o dell’italiana, cittadina del mondo, Tina Modotti con i quali questa incontenibile intellettuale esordì nelle proprie passioni e curiosità. 
McCoy così nell’arco di sessant’anni ha contribuito a tracciare il “territorio progressista” dell'idealismo americano, in particolare quello della South California, passando dall’esperienza della narrativa degli anni '40, pubblicata prevalentemente sul New Yorker a una serie di saggi seminali sulle espressioni architettoniche innovative a partire da quella parte specifica degli States per poi guardare al resto del mondo. In tal senso, questa protagonista della critica e della divulgazione dell’architettura, dalla forte vocazione democratica, rivolse la propria attenzione alla vicenda europea e italiana, in particolare, se non altro che per quell’attitudine culturale, e progettuale, rivolta a un necessario superamento del passato più recente e, con esso, dei dictat del Movimento Moderno. Un clima e posizioni incentrate sul dicotomico e indissolubile rapporto con la storia, con la preesistenza, in campo sia teorico sia progettuale, ma anche intrisa di sperimentazioni e ricerca così come di fascinazione per la concezione strutturale. 
Non è un caso, dunque, che tra i primi italiani verso cui McCoy nutrirà interesse vi sia Pierluigi Nervi al quale dedica un articolo sulle pagine di Arts & Architecture, settembre 1956, dal titolo Pier Luigi Nervi – Concrete Sections from Two New Stadiums. Qui l’autrice non si limita a citare i progetti più noti dell’ingegnere, come il recente Palazzetto dello Sport di Roma ma introduce la nuova Piscina Coni a Roma, non ancora realizzata e concepita in collaborazione con l’ing. Vitellozzi, nonché progetti ancora in divenire come una palestra e piscina a Firenze e un centro sportivo a Taormina. Nervi al tempo è già in America, riconosciuto e stimato professionalmente ma certamente gli articoli e volumi della McCoy e della Huxtable a lui dedicati concorreranno indiscutibilmente a enfatizzarne ulteriormente la notorietà.
Da qui l’interesse per l’Italia da parte della nota scrittrice e divulgatrice di architettura a cui si deve un’ampia produzione saggistica, con articoli apparsi sulle riviste specializzate (e di costume) più importanti del panorama internazionale, –Arts & Architecture, Architectural Forum, Architectural Record, Progressive Architecture, L’Architettura. Cronaca e Storia, Domus, Zodiac, Lotus, The Los Angeles Times, The Los Angeles Herald-Examiner, etc... –  con affondi critico-divulgativi fino agli anni Ottanta. I suoi interventi su alcune riviste italiane, nello specifico, le permettono di “importare” le esperienze nordamericane e californiane, come nel caso di Zodiac. Quanto al coinvolgimento in quest’ultima rivista, di certo giocherà un ruolo importante per la futura mostra al LACMA anche l’essere stata tra gli autori dell’Annuario dell’Architettura 1964-65, curato da una grande voce della critica d’architettura come Giulia Veronesi e dal fondatore della rivista, Bruno Alfieri. Costoro saranno tra i mentori di riferimento per l’approfondimento sullo stato dell’architettura in Italia che la critica americana avrebbe condotto da lì a poco. A partire dagli anni ’60 Esther McCoy sarà anche impegnata nella scrittura di una serie di volumi legati soprattutto alla sua esperienza californiana dove incontra gli “europei fuoriusciti” e tiene anche frequenti lectures presso la University of Southern California e la University of California. In questo periodo prendono avvio progetti editoriali di notevole rilievo come l’acclamato Five California Architects del 1960, una lettura inedita delle opere di alcuni dei più significativi progettisti della west-coast nei primi vent’anni del secolo scorso, lavoro coevo al volume dedicato a Richard Neutra. Un contributo, quest’ultimo, allineato, per impostazione e riferimenti, alla precedente e omonima monografia firmata da Bruno Zevi nel 1954 per i tipi di Balcone. In particolare, al riguardo del comune interesse condiviso tra la scrittrice americana e il critico romano nei confronti del maestro austro-statunitense, resta testimonianza nella corrispondenza conservata presso l’archivio Zevi. McCoy interpellò Zevi su questo tema ed egli la mise in contatto con la vedova di Neutra, Dione. Fa seguito a quelle pubblicazioni, tre anni dopo, il fondativo volume Modern California Houses: Case Study Houses 1945-1962 edito da Hennessey & Ingalls dedicato al progetto sperimentale di architettura residenziale americana sponsorizzato dalla rivista Arts & Architecture e commissionato ai maggiori architetti dell'epoca, da Richard Neutra a Raphael Soriano, da Craig Ellwood a Charles e Ray Eames, da Pierre Koenig a Eero Saarinen. Programma di residenze passate alla storia, e divenute simbolo di un fulgido momento californiano tra allure e sperimentazione democratica, anche grazie alla restituzione fotografica di grande suggestione operata da Julius Shulman.
Parallelamente McCoy si dedica a una serie di curatele espositive corredate da altrettante pubblicazioni che conducono, nel 1964, al progetto di mostra Ten Italian Architects, risultato di un percorso di approfondimento e di analisi indipendente condotto dalla McCoy con approfondimenti bibliografici, certamente, ma anche con il contributo sostanziale di relazioni e scambi diretti con i maggiori critici e direttori di rivista italiani. Piu tardi, negli anni Settanta, il medesimo argomento, la modernità italiana in architettura, fu ripreso dalla critica statunitense in occasione della conferenza archiviata come Regents Lecture dal titolo Italian Modern in cui esordì descrivendo i due mesi trascorsi in Italia nel 1956 come l’opportunità di una nuova lettura e una rivelazione. Del resto in Europa, McCoy era già stata in più occasioni, a partire dalla metà degli anni Venti, ma la scoperta di alcune specificità dell’architettura e, delle città italiane, potevano essere identificate in alcuni caratteri sostanziali, concettuali più che compositivi, riassumibili in una “disobbedienza” (messa a confronto, nel corso del suo intervento con l’obbedienza degli svizzeri) affiancata ad altri tre punti, la relazione e il rapporto con la storia, il superamento del tema della verticalità e l’essere, architettura, sempre parte di un paesaggio. Elementi che a suo avviso la distinguevano completamente dalle grandi città statunitensi e dal loro tessuto urbano. Una lucida analisi e una grande passione per un territorio “disobbediente” che in quegli anni lasciava presagire una nuova e ulteriore visionaria “modernità”. 

Vettori collegati

"Exhibition in Como"

Arts & Architecture, 10/1957

"A Palace of Labor by Pier Luigi Nervi and Antonio Nervi"

Arts & Architecture, 11/1960

Domus

rivista

Gio Ponti

architetto

Ten Italian Architects

mostra

Architectural Forum

rivista

Pier Luigi Nervi

ingegnere e progettista

Arts & Architecture

Progressive Architecture

rivista

Bruno Zevi

Architectural Record

rivista

Fonti

McCoy, E. 1956. “Pier Luigi Nervi – Concrete Sections from Two New Stadiums.” Arts & Architecture, 73, n. 9: 24-25.
McCoy, E. 1958. “In Sardinia Design is Ruled by Spontaneity 1957-1958. Los Angeles Times. 14 ottobre 1958
McCoy, E. 1962. “Tribute to Sardinia.” Arts & Architecture, 79, n. 11: 26-27.
McCoy, E. 1962. “Italian Designs.” Arts & Architecture, 80, n. 5: 24-25.
Morgan, S. (a cura di). 2010. Piecing Together Los Angeles: An Esther McCoy Reader. Valencia: East Borneo Books.
Katz, A. 2020. “Esther McCoy (1904–1989).” The Architectural Review. 12 agosto 2020. Ultima cons. 20/10/2022. https://bit.ly/3VF5nWq 
 

Scheda redatta da: Maria Vittoria Capitanucci