Franco Albini

architect
Franco Albini

Di Paolo Monti - Disponibile nella biblioteca digitale BEIC e caricato in collaborazione con Fondazione BEIC.L'immagine proviene dal Fondo Paolo Monti, di proprietà BEIC e collocato presso il Civico Archivio Fotografico di Milano., CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48082676

1905 / 1977

Robbiate, Milano, Italy

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L'asse di influenza tra gli Stati Uniti e l’Europa non è stato uno scambio a senso unico ma al contrario pluridirezionale e dinamico, caratterizzato da diversi vettori e attori. Il fluttuante rapporto tra l’architetto Franco Albini e la cultura nordamericana rappresenta un frammento importante di questo sistema complesso di traiettorie e intenzionalità. 
Il dialogo tra Albini e la cultura statunitense appare, infatti, brillare a intermittenza nel periodo compreso fra il 1948 e il 1964, per una serie di influenze ed eventi proficui come anche di circostanze sfumate e occasioni perse. Queste due entità in maniera diversa e ripetuta sembrano per l’appunto essersi cercate e (a volte) incrociate in più occasioni e per differenti motivi: da una parte l’architetto Albini, che guardava all’immaginario della “terra delle infinite opportunità” come una scommessa e azzardo progettuale; dall’altra gli Stati Uniti, paese in perenne stato di rinnovamento produttivo ed economico attraverso l’assimilazione di nuovi stili e linguaggi europei. In particolare, quest’ultima adocchiava alla stravagante e “individualista” creatività italiana che, nella cultura standardizzata americana, stentava a emergere così evidente e libera e che nel lessico formale di Albini veniva però distillata e stemperata con maggiore controllo. Non sempre questi incroci hanno prodotto dei risultati tangibili e definiti, ma la documentazione emersa dalla Fondazione Albini, insieme ad altre fonti internazionali, dimostra interessanti tentativi di entrare reciprocamente in contatto. 
Nel clima del dopoguerra, scopo dell’Italia era di restituire una diversa immagine del paese, ovvero di una cultura lontana da ogni associazione con il recente passato della dittatura fascista, e reattiva sul piano della produzione industriale, aperta a nuove influenze e soprattutto pronta a misurarsi con il contesto internazionale. Così, Albini già nel 1939 si dedica al disegno di progetti per concorsi che hanno come soggetto il design di mobili. Si assiste così a un interesse sperimentale che lo vede per l’appunto coinvolto nel modificare e innovare continuamente progetti già realizzati. La “silenziosa operosità” di Albini durante il periodo bellico rappresenterà quindi un’importante “palestra progettuale” che lo porterà alla realizzazione di un minuzioso inventario di elementi d’arredo, meticolosamente disegnati in uno stesso preciso taglio prospettico e in dimensioni contenute, denominato Prospettive di mobili. Nel loro insieme, questi documenti si presentano come un portfolio visivo e biglietto da visita efficace, da proporre alle diverse aziende e soprattutto nei confronti dei nuovi interlocutori internazionali. Tra questi disegni spuntano infatti proposte di arredi datati 1945 - ma di cui non sembrano ci siano stati esiti concreti - per la società A.P.E. - Artigianato produzione esportazione, ovvero l’ente italiano che fungeva da tramite per diversi progettisti, volto alla promozione, lo sviluppo e l’esportazione di produzioni artigiane. 
Questo tipo di avvenimenti si allineano con il generale interessamento “oltre oceano” nei confronti della cultura artigiana e artistica italiana attraverso l’istituzione di differenti organi e comitati, tra cui il CADMA, successivamente inglobato nel CNA – Compagnia Nazionale Artigiana. Quest’ultima ebbe un grande impatto sulla visibilità dell'arte e dell'artigianato italiano negli Stati Uniti e in Europa per tutti gli anni '50 e giocò un ruolo fondamentale nella successiva creazione degli ideali dell’italianità e della produzione Made in Italy attraverso soprattutto l’organizzazione di mostre itineranti. Albini non manca di partecipare anche a questo tipo di eventi, proponendo nel 1950, probabilmente per la celebre mostra Italy at Work: her renaissance in design today, un interno arredato intitolato Camera da pranzo signorile di cui non esiste traccia di un’effettiva realizzazione. Anche in questo caso alcuni dei mobili progettati per l’allestimento vengono proposti e disegnati in prospettiva, quasi a voler rendere ancora più “immediata” la comprensione dell’abitabilità dello spazio e dei suoi elementi al nuovo pubblico statunitense.
Parallelamente, la rivista nordamericana Interiors svolge un ruolo fondamentale di disseminazione della cultura progettuale internazionale e funge da collegamento tra le diverse culture, promuovendo in particolare l’eccellenza italiana. I progetti realizzati di Albini vengono ripetutamente pubblicizzati nei numeri di luglio del 1948, agosto 1949, giugno, novembre e dicembre 1950 e settembre 1951.
In coincidenza con il numero 12 della rivista nel 1948, Albini partecipa al concorso per mobili a basso costo, organizzato dal MoMA di New York, proponendo un sistema di contenitori modulari e componibili dalle particolari superfici “bombate” (poi riproposto per La Rinascente durante la Triennale del 1951). Non è un caso che nello stesso periodo Albini intreccerà interessanti rapporti con la società Knoll, in particolare con la figura fondamentale di Florence Knoll, “éminence grise” e visionaria nel cambiamento d’immagine dell’azienda, per cui si racconta che venne in persona a visitare lo studio dell’architetto in via Panizza 4 nel periodo tra 1948 e il 1949. Ancora oggi la Knoll ha in catalogo lo scrittoio (modello “80D”) del 1938, con elementi in metallo incrociati e ripiano in cristallo. Nei documenti ritrovati in Archivio Albini numerosi sono i disegni raccolti (datati principalmente 1948-49 e all’interno di un dossier Knoll contenente ulteriori proposte di complementi d’arredo) e che rappresentano un riadattamento per il mercato statunitense dei mobili, presenti nella residenza privata in via de Togni, tra cui: il poggia riviste e tavolini con piani in cristallo e struttura in tubolare metallico in diverse dimensioni e caratterizzati dallo stesso motivo ad “X”; diverse versioni della poltroncina Luisa, tra cui una proposta per l’O.N.U. datata 1962 ed altri modelli caratterizzati da una inedita struttura in tubolare metallico bianco (pubblicata nel catalogo della Knoll International nel 1962); infine, la rielaborazione della poltrona da salotto - tipo Fiorenza -, con tubo d’acciaio, elementi in ottone e imbottiture, laterali e posteriore, “indipendenti” per una migliore pulizia e versatilità. Tutti esempi che sottolineano l’impegno di Albini nell’instancabile aggiornamento tecnologico dei suoi progetti e di continua messa a punto di dettagli e soluzioni come se si trattasse sempre e solo di prototipi in via di sviluppo, mai finiti e fermamente conclusi.
Di diverso tipo è l’esperienza con l’azienda nordamericana Altamira per la quale nel 1953 sviluppa una versione della celebre scrivania Stadera (presente in Casa Marcenaro e successivamente prodotta da Poggi nel 1961) che, proprio alludendo al meccanismo della bilancia, si concentra sulla gamba-perno centrale che determina l’equilibrio tra le asimmetriche porzioni del piano. Nella versione statunitense dello stesso scrittoio, il blocco dei cassetti è appeso sotto il piano, la gamba centrale si mostra più ‘muscolosa’ e il piano superiore è rivestito in panno verde, assumendo quindi nella sua totalità una maggiore presenza scultorea di notevole distanza rispetto al linguaggio tradizionale dell’architetto. Interessanti sono anche gli ulteriori progetti proposti da Albini in cui la caratteristica principale è la “modularità” e “scomponibilità” delle parti, che sembra anticipare il possibile problema del trasporto dei pezzi e allo stesso tempo suggerire l’approccio sostenibile - e ancora estremamente contemporaneo-, del do-it-yourself nell’ottica di auto-assemblaggio delle componenti da parte dell’acquirente. 
Nel dicembre del 1959 la società statunitense Reed & Barton bandisce il concorso Design competition for Italy, invitando 10 architetti a progettare una serie di posate in argento da lanciare sul mercato americano, per il quale Albini disegna utensili dalle forme sinuose e longilinee ma che purtroppo non vengono selezionate, premiando invece il design firmato dai fratelli Castiglioni.    
Infine, una delle ultime partecipazioni di Albini nel contesto statunitense è del 1964 per la progettazione e costruzione della John Fitzgerald Kennedy Memorial Library sotto la direzione di Jacqueline Kennedy, che lo vide inizialmente coinvolto a fianco i più grandi architetti dell’epoca, tra cui Mies van der Rohe, Lewis Kahn, I.M. Pei e Philip Johnson. Come si legge nel report ufficiale del 28 gennaio 1964, la selezione del gruppo di esperti era volta ad “ottenere il punto di vista più ampio possibile e la più vasta gamma di idee”, allineandosi di conseguenza con gli interessi d’internazionalità da sempre promossi dall’ex presidente Kennedy. Dalla corrispondenza pervenuta tra Albini e Mr. Walton, è possibile delineare i passaggi immediatamente successivi alla preliminare selezione nell’Advisory Commitee on Arts and Architecture. Inizialmente lo scambio epistolare si concentra sulla condivisione di diversi materiali, tra cui la documentazione per il brief di progetto, preliminari al primo meeting di Boston, a cui Albini partecipa positivamente - la stampa dell’epoca lo ritrae con alcuni degli invitati, appellandolo erroneamente con il nome ‘americanizzato’ di “Francis” –, e che consolida apparentemente i contatti tra le parti. Nelle lettere successive dello stesso anno proseguono sporadici e rallentati aggiornamenti, in cui si evince l’impegno della first lady in quel periodo nelle visite presso i diversi studi di architettura per affinare la scelta definitiva dei nomi, per poi svanire e dissolversi completamente.
In conclusione, i vettori albiniani hanno quindi attraversato gli Stati Uniti in diversi ambiti e con differenti esiti e questo evidenzia sia come questo rapporto sia stato estremamente propulsivo, vivace e allo stesso tempo imprevedibile e come la figura di Albini, pur meno portata alla propria commercializzazione artistica, fosse stata più volte intercettata e accolta positivamente dal pubblico statunitense. Allo stesso modo, si conferma l’instancabile prassi albiniana di continua messa a punto dei suoi lavori nel corso degli anni, a volte svelandone le componenti tecniche ed innovative di progetti già realizzati, a volte limandone dettagli e rinnovandone le forme per venire incontro a climi e contenitori culturali differenti con sempre profondo rigore, limpida curiosità e rispetto per i valori sostanziali.

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Sources

“Italiani in un concorso americano.” Stile Industria, n. 29 (1959): 45–54.
Kennedy, E.M., Walton, W., Belluschi, P. e H.C. Warnecke (a cura di). (1964) Report on procedures for the building committee.
Bosoni, G. e F. Bucci. (2009) Il design e gli interni di Franco Albini. Milano: Electa.
Lecce, C. “Franco Albini e il progetto dell’effimero (1936-1958): Le fonti d’archivio come tracce dell’evoluzione di un metodo.” A/I/S Design. Storia e Ricerche, n. 10 (2017): 1/13.
 

Author Marta Elisa Cecchi