Twentieth Century Italian Art

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Twentieth Century Italian Art

Photographic Archive. The Museum of Modern Art Archives, New York. IN413.1. Photograph by Soichi Sunami

1949 June 28 - September 18

MoMA, New York, USA

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La rassegna Twentieth Century Italian Art, tenutasi al MoMA nell’estate del 1949 con la curatela di Alfred H. Barr Jr. e James T. Soby, si inserisce all’interno delle celebrazioni ventennali di apertura del museo quale primo focus del secondo dopoguerra che l’istituzione dedica a una nazione europea, nonché prima mostra d’arte contemporanea italiana negli USA. Inizialmente pensata come itinerante (Londra; San Francisco; Chicago; Toledo; Roma; Firenze; Milano; Venezia), l’esposizione è allestita solamente nella prima tappa newyorkese.
Tra gli anni trenta e gli anni quaranta il regime fascista aveva già ipotizzato, e in parte realizzato, alcune esposizioni sull’arte italiana in America con lo scopo di favorire la conoscenza (critica e di mercato) dei maestri contemporanei e controbilanciare il sempre vivo interesse verso l’arte antica e rinascimentale. Nel 1940 il MoMA aveva infatti inaugurato la mostra Italian Masters dove venivano presentate, tra le altre, opere di Mantegna, Leonardo, Raffaello, Michelangelo oltre alla “Venere” di Botticelli che, dagli Uffizi, fece la sua prima e ultima traversata atlantica. Al termine della guerra, accantonata l’ascesa comunista (in seguito alla vittoria della democrazia cristiana alle elezioni del 1948), annunciate le iniziative del Piano Marshall (in termini di tutela, restauro e ricostruzione del paese) e convalidata l’entrata italiana nel Patto Atlantico (1949), si infittiscono le relazioni tra Italia e USA. Grazie a questo retroterra, la promozione dell’Italia democratica, finalmente uscita dall’isolazionismo fascista, consente più puntuali e autonome interpretazioni sugli scenari artistici attuali e storici del paese.
Il progetto della mostra Twentieth Century Italian Art, nei programmi del museo dal 1947, nasce quindi libero da interferenze politiche italiane ed è il frutto di un serrato studio che i curatori dedicano alla pittura e alla scultura effettuato durante un loro soggiorno in Italia nella primavera del 1948. In questa occasione visitano le principali città (Roma, Milano, Venezia, Firenze e Bologna), la V Quadriennale di Roma, la XXIV Biennale di Venezia, studi, gallerie d’arte e incontrano collezionisti e personalità decisive per lo sviluppo della mostra come il gallerista Romeo Toninelli, poi segretario esecutivo dell’esposizione. 
La mostra è imponente e propone circa 230 opere (dipinti, sculture, disegni e grafica) dal futurismo fino agli anni quaranta. Il percorso è cronologico e suddiviso in sezioni tematiche e monografiche: primo Futurismo; Metafisica (ricondotta ai soli De Chirico, Carrà e Morandi); Modigliani; Pittura e scultura dal 1920. In quest’ultima ripartizione sono raggruppati, in ulteriori sottosezioni, lavori di artisti e gruppi come l’ultima produzione di De Chirico, Carrà, Morandi; il movimento di Novecento e gli artisti della “generazione di mezzo” come Campigli e De Pisis; i realisti Rosai e Donghi; la Scuola Romana con Pirandello, Scipione e Mafai; Arte Fantastica con Lepri, Viviani e Clerici; giovani generazioni di pittori e scultori astrattisti con attenzione specifica al gruppo del Fronte Nuovo delle Arti. L’allestimento rispecchia le prerogative estetiche e neutrali del museo impostate su una chiarezza espositiva e di ambiente (white cube), capace di tenere insieme le diverse discipline (pittura e scultura) nella loro autonomia spaziale, fisica e di contemplazione. Le opere a parete sono in larga parte allineate con i medesimi intervalli di altezza mentre le sculture avanzano nello spazio su minimali basi a parallelepipedo. Il canone espositivo è lontano da modelli museografici impiegati in Italia più inclini a periodizzare e a creare ambienti immersivi capaci di includere e riflettere su scala progettuale il contesto socio-politico. La scelta del MoMA, al contrario, offre una lettura estetica funzionale a prendere le distanze rispetto a possibili relazioni tra le opere e la storia del paese preso in esame. Per l’occasione viene pubblicato un catalogo in cui è ricalcata l’impostazione cronologica delle sale. In copertina campeggia un’illustrazione di George Giusti che metaforicamente interpreta la rinascita italiana attraverso la germinazione di foglie tricolori da un albero reciso. All’interno compaiono numerose riproduzioni (perlopiù in bianco e nero), un apparato bio-bibliografico e i testi dei curatori che, nella premessa, specificano le ragioni della mostra: introdurre l’arte moderna italiana, finora trascurata dal pubblico americano, sia per il glorioso passato culturale dell’Italia, sia per l’egemonia della contemporanea arte francese. 
Al Futurismo, che apre la mostra, è riservata la più importante revisione critica nonostante la scelta di circoscrivere l’esame alle prime leve per evitare la disamina della seconda generazione del movimento: meno valida agli occhi dei curatori, ma chiaramente più difficile da inquadrare nel contesto politico degli anni trenta. Alcune precedenti manifestazioni avevano in parte marginalizzato la portata del Futurismo (come la mostra del 1936 Cubism and Abstract Art sempre a cura di Barr al MoMA), ora riconosciuto in chiave internazionale parallelamente all’avanguardia cubista. Al movimento è tuttavia riservata una lettura estetica e formale così come avviene per i successivi affondi. Malgrado le contingenze storiche lo permettessero, i curatori preferiscono aggirare le più scottanti ingerenze che hanno interessato i gruppi di artisti formatisi durante il Ventennio, sia attraverso l’esame di singole personalità al tempo poco note in USA, sia trascurando linguaggi artistici più dirompenti perché sostenuti dal regime. L’arte astratta non è infatti contemplata nell’analisi degli autori della cosiddetta “generazione di mezzo” degli anni trenta, ma presentata come novità linguistica degli artisti operanti negli anni quaranta: lacuna che isola la produzione artistica del secondo dopoguerra omettendo le sue radici autoctone. Anche quest’ultima introduzione ai più recenti sviluppi della pittura e della scultura, soffre di alcuni limiti e assenze. Le vicende dell’astrattismo italiano degli anni quaranta sono complesse e politicizzate, ma gli artisti selezionati sono presentati come liberi e apolitici interpreti sebbene, in larga misura, allineati al partito comunista. Per di più, il traguardo della nuova arte italiana, è il larga misura rappresentato dall’eterogeneo, e formalmente meno destabilizzante, movimento postcubista del “Fronte nuovo per le arti” capitanato da Guttuso. Nella stessa misura la sezione “scultura recente” propone opere figurative di Manzù, Martini, Marini e Fontana di cui sono esposti lavori in ceramica, tra cui un crocifisso, senza alcun riferimento alla più sovversiva esperienza dello spazialismo (la cui definizione era stata sancita a Milano a partire dal 1947) neanche nella più “aggiornata” biografia in catalogo. Le strategie dei curatori sembrano essere indirizzate verso soluzioni più confacenti a dimostrare un panorama artistico meno radicale rispetto a quello che effettivamente era anche se è verosimile ritenere che durante la loro permanenza in Italia non abbiano avuto la possibilità di entrare in contatto con i nuovi, e più reazionari, gruppi astrattisti (Forma 1; MAC) che vedono la loro formazione (e consacrazione) proprio in quegli anni. 
La stampa americana accoglie le tesi avanzate dal MoMA, mentre quella italiana, per le ragioni elencate, è più cauta nelle recensioni, anche se riconosce il potenziale di questa operazione in anni in cui il paese necessita promozione e non più propaganda. Nell’estate del 1949 Gio Ponti pubblica sulla sua “Domus” uno scambio di lettere avvenuto con Barr in cui biasima l’assenza di artisti italiani all’interno della collezione del museo e ancora, l’anno successivo, sprona Barr a liberarsi da pregiudizi circa l’“occultamento” dell’arte prodotta durante il Ventennio, e arricchire la collezione del MoMA con opere di Sironi, Carrà e Campigli. Barr riconosce questa carenza e, già nelle fasi preparatorie e poi in seguito alla mostra, fa acquistare al museo un notevole numero di opere, tanto da rendere la collezione d’arte italiana del MoMA la più importante fuori dall’Italia. Entrano nella proprietà del museo capolavori del futurismo come i "Funerali dell’anarchico Galli" (1911) di Carrà, "Bal Tabarin" (1912) di Severini, "Forme uniche nella continuità dello spazio" (1913) di Boccioni e "Volo di rondini" (1913) di Balla. L’implemento della collezione, parallelamente al riverbero che l’arte italiana acquisisce all’interno di circuiti commerciali privati e di gallerie newyorkesi e non solo, è l’esito più riuscito della mostra. Seppur sbilanciata in alcuni aspetti, la rassegna si configura come prima e decisiva azione tesa a consolidare i legami politici e culturali transatlantici tra Italia e USA nel secondo dopoguerra.
 

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Lucio Fontana

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Sources

Bedarida, Raffaele. «Operation Renaissance: Italian Art at MoMA, 1940-1949.» Oxford Art Journal 35, n. 2 (June 2012): 147-169.
Colombo, Davide. «1949: Twentieth-Century Italian Art al MoMA di New York.» In New York New York / Arte Italiana: La riscoperta dell’America, a cura di Francesco Tedeschi, Francesca Pola e Federica Boragina, 102-109. Milano: Electa, 2017.
Gamble, Antje. «Exhibiting Italian Democracy in the 1949 ‘Twentieth Century Italian Art’ at the Museum of Modern Art.» In The First Twenty Years at MoMA 1929–1949. London: Bloomsbury, 2020.
Gamble, Antje K. «Exhibiting Italian Modernism After World War II at MoMA in ‘Twentieth-Century Italian Art’.» Methodologies of Exchange: MoMA’s “Twentieth-Century Italian Art” (1949) Italian Modern Art, January 2020.

Author Stefano Setti