Playboy

magazine
Playboy

https://bit.ly/3RzqSVo

1953/1973

Chicago, IL, USA

scenario
the stereotype
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media
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magazine

Playboy è una rivista erotica maschile fondata da Hugh Marston Hefner nel 1953 e pubblicata mensilmente a Chicago dall’editore HMH Publishing Co. 
Fu la prima rivista esplicitamente dedicata alla fotografia erotica ed ebbe un ruolo cruciale nel mutamento del costume e nella cosiddetta rivoluzione sessuale. 
Inizialmente si sarebbe dovuta chiamare Stag Party, ossia “festa di addio al celibato”, ma cambiò nome per evitare una causa legale e il logo di cervo in vestaglia venne sostituito dal profilo della testa di un coniglio con un papillon da smoking, disegnato dal grafico Art Paul. La scelta ricadde sul coniglio per alludere a un certo modo, giocoso e ironico, di vedere il sesso e vivere la quotidianità. 
Playboy si rivelò un periodico non solo erotico, ma anche di intrattenimento colto. Proponeva infatti racconti, vignette illustrate, interviste a personalità di spicco, rubriche di viaggio, di musica, di cinema, di moda, di cucina e di sport, articoli di politica e dedicati all’architettura e all’arredamento della casa e dell’ufficio, traduzioni di classici della letteratura americana e straniera. Rispetto alle 44 pagine della prima uscita arrivò a contare negli anni Settanta più di 300 pagine, in buona parte dedicate alla pubblicità. In questo decennio la rivista raggiunse tirature di svariati milioni di copie e veniva letta sia da uomini sia da donne.
Nel suo libro Pornotopia, Beatriz Preciado riflette su come la rivista maschile fu un meccanismo capace di proiezione pubblica del privato e spettacolarizzazione della domesticità.  Nel primo numero, che uscì a dicembre 1953, il suo fondatore Hugh Marston Hefner definì la natura del progetto come la volontà di creare “una casa da sogno”, un luogo nel quale fosse possibile lavorare e divertirsi senza i problemi e i conflitti del mondo esterno. Nei suoi primi vent’anni, la rivista aveva creato un’architettura - di carta - che nascondeva un intento più profondo della semplice configurazione spaziale. La figura di un nuovo “scapolo urbano” che avrebbe abitato quella casa andava modellata su un sentimento ancora troppo debolmente percepito. Andava inventata. La casa era il primo passo per definire l’identità dell’individuo, ma ciò che lo avrebbe reso quello che ancora oggi viene riconosciuto come il “mitico Playboy”, sarebbe stato il suo stile di vita. L’immaginario architettonico diventava metafora di un movimento di liberazione sessuale maschile a fronte dell’ impero del focolare familiare degli anni Cinquanta, topos centrale del sogno americano. Lo spazio creato era radicalmente opposto all’habitat della famiglia nucleare, uno spazio domestico interno e privato per natura femminile. Alla casa suburbana Playboy contrapponeva un modello urbano in cui l’uomo si giocava la sua mascolinità con una routine che era tipicamente femminile. A questo ovviava attraverso una teatralizzazione in cui l’arredo, i rituali domestici e le tecniche di messa in scena diventavano fondamentali. 
La cultura italiana entrò a pieno titolo nella costruzione di questo nuovo immaginario attraverso numerosi riferimenti: linguistici, alla letteratura, all’architettura, al design, al cinema, alla moda, al cibo. Sfogliando le pagine incontriamo slogan che utilizzavano parole italiane all’interno di articoli in lingua inglese e diverse pubblicità di prodotti stranieri ambientate in Italia. Compaiono scritti di Alberto Moravia e Italo Calvino e le traduzioni del Decameron di Giovanni Boccaccio. Sul numero di gennaio 1970 un attico duplex combinava gli ultimi progressi tecnologici e architettonici con “un'idea vecchia come le colline romane”: intorno al vuoto centrale di un atrio si orientavano un giardino e patio-terrazze non coperte che rappresentavano un nuovo stile di vita urbano. La scultura spaziale ottenuta grazie una serena concezione architettonica, creava un senso di vista interno privato, piuttosto che concentrarsi sulla vista esterna dalle finestre. A questo e ad altri appartamenti progettati dalla rivista, facevano eco una serie di articoli, rubriche di consigli per gli acquisti e set fotografici che pubblicavano icone entrate a far parte della storia del design. Tra questi: le unità hi-fi Brionvega, le poltrone di Harry Bertoia, la lampada Nesso di Giancarlo Mattioli, le lampade Snoopy e Taccia di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, il set di tavolo con sedie Locus Solus di Gae Aulenti, la lampada Prisma di Vittoriano Viganò, la sedia Mies di Archizoom. È interessare sottolineare come raramente le aziende di design venissero citate, ma quasi sempre compariva il nome dell’autore - se noto - o una descrizione che sottolineava l’origine del manufatto. Questo, a differenza di quanto avveniva per le aziende italiane produttrici di veicoli a motore che, vista la grade diffusione del periodico, cominciarono a comprare negli anni Sessanta numerose pagine pubblicitarie. I nomi della Fiat, della Piaggio, della Innocenti, della Guzzi, apparivano sponsorizzati più di quelli americani. Mentre in Italia molte di queste aziende avevano scelto il mercato dell’auto utilitaria con la convinzione che quel modello non interessasse ad un mercato d’oltreoceano abituato alle gradi auto, il Playboy – il cui modello di domesticità era comunque legato indissolubilmente al motore - accoglieva i nuovi prodotti come strumenti per rivendicare la sua libertà di movimento, soprattutto quando si parlava dei nuovi motocicli. Nel numero di giugno 1959, sotto forma di satira scritta e pittorica, il fotografo Jerry Yulsman immortalava nel suo Veni, Vidi, Vespa! alcuni scatti sul tema dello scooter esaltando le qualità di Vespa (e Lambretta) quali la comodità di parcheggio e la facilità di movimento attraverso il groviglio del traffico cittadino. Se questo avveniva nei confronti dei nuovi motocicli, nel campo delle auto la libertà era più spesso associata alla velocità. Kenneth William Purdy, scrittore ed editore automobilistico, raccontava in un articolo del marzo 1961 quanto fosse improbabile vedere altre auto da corsa correre davanti alle Ferrari rosse e quanto fossero ambite dagli appassionati le 300 – 400 autovetture prodotte annualmente da Enzo Ferrari per l'intero mercato mondiale. La Ferrari era considerata la punta di diamante di un’industria moderna che si era sviluppata rapidamente su solide basi. Era l’emblema di un saper fare che aveva una lunga tradizione, ricostruita da Purdy nell’articolo The Italian Line del marzo del 1964 attraverso una rassegna sui nomi più noti dell’imprenditoria e del design dei trasporti: le carrozzerie Touring, Pininfarina, Ghia, Zagato, Bertone, Vignale, Allemano.
In questa visione della “linea italiana” come concetto estetico, Playboy faceva entrare a pieno titolo anche il tema del cibo che veniva considerato, attraverso la penna del food writer Thomas Mario, in una visione estremamente contemporanea. Vero e proprio artefatto alimentare, il cibo veniva analizzato come progetto integrale sotto vari punti di vista: i suoi caratteri organolettici, la sua forma, i rituali e i complementi di arredo che lo accompagnano, i luoghi a lui dedicati (erano cucine, negozi, ristoranti). Il Playboy urbano si vantava della sua arte culinaria, così la rivista spiegava ai lettori come organizzare feste e cene, come scegliere materie prime sui banchi di cibo italiano in America, quali piatti preparare per le diverse occasioni e soprattutto come prepararli da abile gourmet. Le narrazioni sul cibo erano composte da spiegazioni storiche, set fotografici studiati ad hoc, ricettari. Quella degli italiani in cucina veniva definita nell’articolo The Light Italian Hand dell’agosto 1966 come “la mano leggera, che si adatta ai cambiamenti stagionali con aplomb fantasioso, non pesante, ma facilmente trasportabile sulle piccole Fiat, per non parlare delle grandi Ferrari sportive che sfrecciano per la città con pacchi di cozze e insalate di riso”. Educato ai principi di una cucina audace, leggera e fantasiosa, il Playboy americano poteva cimentarsi nella preparazione dei piatti che andavano dai più noti pizza e spaghetti fino alla fresca “ciotola dell’ insalata…bellissima!”. Nell’articolo The Salad Bowl ... Bellissima! dell’ agosto 1962, l’oggetto - l’insalatiera - così ampia e profonda e così completamente slegata dalle convenzioni, diventava emblema non solo di una cucina che a dispetto dei pregiudizi non era pesante, ma di un modo di consumare cibo che racchiudeva un infinito fascino: “Per i cuochi scapoli, l'effetto più salutare del rituale dell'insalata italiana è la sua completa informalità. E' virtualmente impossibile mantenere un contegno formale mentre si raccoglie il condimento al vino rosso con un tocco di pane duro”. 
L’immaginario legato allo uno stile di vita italiano arrivava sulle sponde americane soprattutto grazie ai film. La rivista nei suoi primi vent’anni recensirà e pubblicizzerà numerosi film italiani di successo pubblicando in più occasioni i loro fotogrammi ed editoriali sulle star femminili che rappresentavano la bellezza italiana: Gina Lollobrigida e Sofia Loren tra le preferite, ma anche Sylva Koscina, Elsa Martinelli, Stefania Sandrelli. A questi contributi si alternavano le interviste ai registi e agli attori - Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e Marcello Mastroianni - che incarnavano quel modello maschile al quale il Playboy aspirava. 
Fortemente influenzata dal cinema, la guida Italia del periodico, iniziava da Roma e proseguiva nella Riviera Ligure, Cortina d’Ampezzo, la Sardegna e Venezia, raccontata soprattutto in occasione della celebre e controversa Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Shel Silverstein, autore e illustratore che dal 1956 fu mandato in giro per il mondo da Playboy con il suo blocco da disegno a documentare la vita in divertenti vignette, offriva la sua visione dell’Italia con disegni e servizi che lo ritraevano al lavoro. Osservando la gente del posto e soprattutto i suoi connazionali all’estero, accompagnava le illustrazioni con umorismo. 
Mentre in Italia le maggiori riviste di architettura, ma anche le riviste divulgative più popolari, pubblicavano articoli che presentano un'immagine americanizzata della casa e di un certo stile di vita, dall’altra parte dell’oceano, Playboy aveva un’ampia copertura di esempi italiani che tracciavano il profilo di un nuovo maschio urbano, intellettuale, colto, elegante e soprattutto cosmopolita. 

Related Vectors

Harry (Arieto) Bertoia

designer

Federico Fellini

director

Marcello Mastroianni

actor

Venice Film Festival

film festival

Vespa

Fiat

Innocenti

Lambretta

Elsa Martinelli

Actress/Top-model

Sources

Arrighi, Laura. "Dream House of Card." In Fast Forward: Dal Futuro Al Futuro, by Massimiliano Giberti. Genova: Sagep Editori, 2021.
Belpoliti, Marco. "Pornotopia." Doppiozero, Aprile 2011.
Preciado, Paul Beatriz. Pornotopia. Playboy: architettura e sessualità. Roma: Fandango Libri, 2020.
Prudenzi, Achille. "La storia di Playboy ora che è morto Hugh Hefner, il suo fondatore." Focus, Settembre 2017.
 

Author Laura Arrighi