Gio Ponti

architect
Gio Ponti

Di Sconosciuto - http://www.milanostile.it/public/eventi-e-news/agenda/1128-la-milano-di-gio-ponti.asp, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3547854

1948/1979

Milan, Italy

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Nella sua triplice veste di animatore culturale, designer e architetto, Gio Ponti occupa un posto di assoluto rilievo nel dialogo di metà Novecento tra Italia e Stati Uniti. Mosso da una forte simpatia e attrazione intellettuale per la scena americana (e in particolare newyorkese), la sua attenzione per quanto accade oltre Oceano è alimentata da una fitta rete di rapporti intessuta negli anni, che comprende tanto personalità della cultura europea trapiantate in America, come Bernard Rudofsky, Saul Steinberg e Leo Lionni, quanto protagonisti del mondo americano dell’architettura e del design, da George Nelson a Charles Eames, a Richard Neutra, a figure influenti del mondo politico e finanziario come Claire Booth Luce e Henry Luce. 
Fin dall’immediato secondo dopoguerra Ponti guarda con attenzione al ruolo determinante assunto dall’America nella definizione del nuovo contesto culturale internazionale segnato dalla Guerra Fredda, e moltiplica gli sforzi per sostenere la posizione italiana in quest’ultimo. Domus, la rivista italiana di maggior visibilità internazionale, alla cui direzione è ritornato nel 1948, costituisce a questo scopo una tribuna privilegiata. Sulle pagine di Domus Ponti dedica ampio spazio alle manifestazioni statunitensi dirette a sostenere la ripresa economica dell’Italia negli anni della Ricostruzione, dalle rassegne artigiane della Handicrafts Developments Inc. alla mostra del MoMA XX Century Italian Art, fino a Italy at Work (mostra, quest’ultima, cui prende parte personalmente come espositore). 
La sua idea dell’esportazione della produzione italiana negli Stati Uniti è tuttavia diametralmente opposta a quella che presiede alle iniziative americane a favore dell’Italia nel campo del design e dell’artigianato. Queste puntano ad orientare gli operatori italiani verso le tendenze del mercato di destinazione e a conformare le creazioni italiane alle attese del pubblico americano. Per Ponti, viceversa, si tratta di far amare agli americani le cose italiane per se stesse, non di adattare al gusto americano una produzione che ritiene destinata a imporsi per i suoi caratteri di eccezionalità, di libertà creativa, di slancio immaginativo senza freni: vale a dire in virtù di quella che definisce “fantasia degli italiani”  e che ai suoi occhi costituisce una qualità innata, distintiva del temperamento nazionale, da lui contrapposta alle doti di rigore, ordine e razionalità che vede come tipiche degli esempi stranieri.
Nel 1950 la partecipazione di Ponti a Italy at Work - con una scoppiettante sala da pranzo realizzata in collaborazione con Piero Fornasetti, ricca di invenzioni ornamentali e di sorprese visive -  esemplifica nel suo lavoro questo ideale di libertà fantastica, che gli americani avevano già avuto occasione di conoscere attraverso i fastosi interni di transatlantici come Conte Grande (1949) e Andrea Doria (1950). In Italy at Work Ponti si segnala quale figura guida di un design italiano esuberante ed estroverso, le cui forti connotazioni artigianali e decorative non incontrano unanime favore nell’America dei primi anni cinquanta. Se buona parte della stampa e della critica statunitensi vi scorge segni di una positiva “umanizzazione” del modernismo europeo, tesa a staccarlo dalla freddezza e impersonalità dell’International Style, vi è anche chi le condanna come eccessive e di cattivo gusto: non è un caso, ad esempio, che nel 1954 Ponti non venga incluso nell’importante mostra The Modern Movement in Italy: Architecture and Design, curata da Ada Louise Huxtable al Museum of Modern Art di New York. 
A correggere in parte questa immagine, contenendone le sfumature più frivole e capricciose, contribuirà nella prima metà del decennio la collaborazione di Ponti con l’azienda newyorkese di arredamento Singer & Sons. Ponti è il progettista principale di “Modern by Singer”, una linea di mobili moderni nella quale, dietro insistenza del titolare della ditta Josef Singer, le punte decorative ed eccentriche del design dell’architetto vengono smorzate. Attraverso il rapporto con Singer & Sons (che, sorretto dalla stretta amicizia intrecciata con Josef Singer, si protrae dal 1950 fino alla chiusura della ditta nel 1961) Ponti comincia a farsi promotore negli Stati Uniti del lavoro di un gruppo di architetti e designer a lui vicini, Carlo De Carli, Carlo Mollino e Ico Parisi, anch’essi reclutati come collaboratori di “Modern by Singer”. Gli stessi, con l’aggiunta di Ignazio Gardella ed altri, verranno da Ponti coinvolti poco dopo nella collaborazione di più breve durata (1953-1955) con la ditta Altamira, alla quale l’architetto propone anche artisti e artigiani che stima, quali Pietro Fornasetti, Romano Rui, Paolo de Poli e Lucio Fontana. 
Comunque, nonostante si prodighi per far conoscere la produzione italiana oltre Atlantico, e in contrasto con la percezione diffusa negli Stati Uniti di un design italiano complessivamente caratterizzato dall’aspetto scultoreo delle forme, dall’estroversa vivacità della concezione e dalla cura artigianale nell’esecuzione, Ponti non crede a un’identità italiana intesa come stile unitario. La “linea italiana” che si va affermando negli Stati Uniti risulta ai suoi occhi dall’accostamento di talenti individuali diversissimi e non riconducibili a un denominatore comune; è - come ama ripetere -  “più italiana che linea”. Gli italiani, afferma, non amano i movimenti; per loro l’arte è un fatto istintivo, che nasce dalla “continuità di una vocazione storica”. Respinge perciò la visione americana di un “nuovo Rinascimento” del Bel Paese finalmente liberato dal giogo del fascismo, sottolineando come, con l’eccezione del cinema, la fioritura culturale italiana abbia le sue radici negli anni d’anteguerra; del dopoguerra è soltanto la sua scoperta da parte degli Stati Uniti. 
Benché la sua attività di designer gli abbia dato una buona misura di notorietà in America, Ponti persegue anche, con non minore determinazione, l’affermazione della propria ricerca sul piano culturale. Nel 1954, un significativo riconoscimento in questo senso gli arriva con la mostra dedicatagli dall’Institute of Contemporary Art di Boston per iniziativa del direttore James  Sachs Plaut, conosciuto per tramite della sua amica Daria Guarnati. L’esposizione, che dopo Boston  toccherà svariate città degli Stati Uniti, affianca l’opera di Ponti a quella dell’ungherese György Kepes, in una premeditata ricerca di contrasto fra la flamboyante tridimensionalità ‘italiana’ dei progetti del primo e la bidimensionalità quieta e introspettiva del secondo, ed è accompagnata, in guisa di catalogo, da un numero speciale della rivista di Guarnati Aria d’Italia, intitolato Espressione di Gio Ponti e introdotto da uno scritto di Plaut. (Ponti proverà anche a trasportare la mostra di Boston a New York nella nuova e lussuosa sede della ditta Altamira, con l’obiettivo di conciliare Il prestigio culturale che l’evento museale gli assicura con la dimensione commerciale del suo lavoro, ma il tentativo non avrà buon esito).
A metà degli anni cinquanta, la presenza di Ponti nel contesto americano si va intensificando. La rivista Interiors, sicuro termometro di popolarità, segue il suo lavoro con particolare attenzione, identificando il ruolo di primo piano svolto dall’architetto nella situazione italiana; Vogue nel 1954 ne tratteggia la figura nei termini di un creatore dall’immaginazione multiforme, un “universal man” poliedrico e instancabile. La sua attività in America non si limita del resto al design di mobili; Ponti collabora con una quantità di ditte attive in campi diversi, disegna sanitari per la Ideal Standard, posateria per la Fraser e la Reed & Barton, diffonde i suoi modelli di piastrelle in ceramica attraverso la Murals, Inc. Nel 1957, Time Magazine lo definisce “forse il massimo designer mondiale, e uno dei più indaffarati”, un autentico e inesauribile vulcano di idee. A quel punto Ponti, ormai noto internazionalmente come l’autore della Torre Pirelli, allora in costruzione, è impegnato anche a New York con un progetto architettonico di spicco - per quanto di piccole dimensioni -, l’auditorium sulla terrazza all’ottavo piano del Time and Life Building di Harrison e Abramovitz; nel 1958 si inaugurano al 666 di Fifth Avenue gli uffici newyorkesi di Alitalia, una vetrina prestigiosa del gusto e delle creazioni pontiane. Tutto ciò proietta su di lui un’aura di celebrità: il suo passaggio a New York ai primi del 1958 desta scalpore nei circoli dell’architettura e del design, e il New York Times dedica un pezzo di colore dai toni sopra le righe all’“architetto milanese che i critici meno entusiastici chiamano un genio” e che “ha cambiato forma alle forchette e ai grattacieli.” Tramite di eccellenza tra la cultura architettonica italiana e il contesto statunitense, nel maggio 1959 Ponti organizza il viaggio a New York di un nutrito gruppo di membri del Collegio regionale Lombardo degli Architetti. Infine, il suo profilo internazionale di archistar gli procura nel 1965 un’altra importante commissione, quella per il nuovo museo di Denver, realizzata in collaborazione con James Sudler, architetto incontrato durante una delle sue trasferte americane. Sarà l’ultima architettura progettata per gli Stati Uniti e l’occasione per uno dei capolavori della sua maturità.  
 

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"Pirelli building completed in Milan"

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Sources

Altea, Giuliana. «"Exceptional" vs "typical" Ponti. La collaborazione con le ditte Singer e Altamira.» Relazione presentata al convegno Transatlantic Modern Consumerisms: Italian Goods and Commercial Cultures in Postwar America, 1949-1972 , Dipartimento di Scienze Umanistiche e sociali, Università di Sassari, Pollenzo, giugno 2021.
Barioglio, Caterina. «Gio Ponti in America. Il progetto degli spazi di business-meeting per il Time-Life Building a New York.» In Grattanuvole. Un secolo di grattacieli a Milano, a cura di A Coppa. Milano: Maggioli, 2015.
Dellapiana, Elena. «Italy Creates. Gio Ponti, America and the Shaping of the Italian Design Image.» Res Mobilis, 2018: 19-48.
Licitra, Salvatore, a cura di. Gio Ponti. Life and Works 1923-1979. Cologne: Taschen, 2021.
Ponti, Gio. «America, Handicraft, CADMA. Una occasione che può divenire storica per gli artisti e per gli artigiani italiani.» Domus, luglio 1948: 32-38.
Ponti, Gio. «Insegnamento altrui e fantasia degli italiani.» Domus, giugno 1951: 10-13.
Ponti, Gio. «L'interesse italiano per l'America.» Domus, marzo 1954: 56.
Ponti, Gio. «Omaggio ad una mostra eccezionale.» Domus, dicembre 1950: 25.
Ponti, Luisa. «Gio Ponti e lo sbarco italiano a New York.» In Espressioni di Gio Ponti, a cura di Germano Celant, 46-47. Milano: Triennale-Electa, 2011.
Sherer, Daniel. «Gio Ponti a New York.» In Espressioni di Gio Ponti, a cura di Germano Celant, 34-43. Milano: Triennale-Electa, 2011.

Author Giuliana Altea